Le Cinéma de Raoul Ruiz

L’estate breve (da Sogno di una notte di mezza estate)

L’estate breve (da Sogno di una notte di mezza estate) de Raoul Ruiz
fiction documentaire - Italie (2010) - 1h48mn. ou 60min selon les sources.
Autre titre :
Réalisé par :
Raoul Ruiz
Avec :
Synopsis :
Invité par le Théâtre Garibaldi de Palerme pour créer une oeuvre à partir d'une adaptation, Raoul Ruiz a décidé de se baser sur Le songe d'une nuit d'été de William Shakespeare. Interprété par de jeunes comédiens le film propose une reflexion sur le jeu de l'acteur, le mouvement et la réalisation.
Scénario :
Montage :
D'après :
Le songe d'une nuit d'été de William Shakespeare
Production :
Teatro Garibaldi, Film Commission Regione Siciliana / Sicilia Film Commission - Regione Siciliana - Assessorato dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana Ministero per i Beni e le Attività Culturali / Patto stato regioni Primoteatro 2008 - 2009 / Cinque Teatri d’Arte
Directeur de la production : Matteo Bavera

Image :
Musique :
1er assistant :
Décoration :
Lieu de tournage :
Distribution :
Prix, Festivals :
Un sogno dentro un sogno, sul film palermitano di Raùl Ruiz
di Bruno Roberti
Il nuovo film di Ruiz è un “sogno fatto a Palermo”, o meglio, come dice il Totò shakespeariano delle Nuvole di Pasolini, “un sogno dentro un sogno”. E lì dentro, sullo schermo, ci siamo anche noi, sognati dal sogno. Il “ramoscello” magico di Ruiz ha il potere di farci passeggiare per lo spazio di una Estate breve, in mezzo alle apparizioni palermitane che il suo occhio smagato insegue. Nei giardini esotici, nei boschi onirici, nelle stanze labirintiche dei palazzi e delle gallerie, nei cortili assolati, lungo i muri scrostati, nelle nuvole di un fumetto. Il film ci prende per mano sul ritmo di una musichetta impertinente e ci catapulta in un coloratissimo, lussureggiante, danzante Sogno che trascrive Shakespeare con un geroglifico aereo. Il sogno prende la forma vivente dei corpi dolci e indisciplinati, acerbi e serpentini, dinoccolati e indolenti di un gruppo di ragazzini e ragazzine. E subito il film si inoltra in un mistero, come sempre in Ruiz, sottile e obliquo, ironico e leggero. Un gioco serissimo, come è quello scenico che Matteo Bavera ha, per anni, imbastito per il Teatro Garibaldi, concertato, orchestrato con i giovanissimi del laboratorio. Ma anche un volatile, mercuriale, equilibristico, viaggio iniziatico alla ricerca dei versi shakespeariani, della loro sonorità d’incantamento, che le voci degli attori e dei ragazzi inseguono nell’intrico di quel “bosco magico” che è la città stessa, le sue strade, la sua polvere, i vicoli, i Ficus, i balconi, i cortili: Palermo nella sua verità visionaria. La Sicilia è una terra di sogni, e Palermo è il sogno di una città sempre congetturale, che si nasconde, sguscia, si arrampica come il Puck shakespeariano, come il “caruso siculo”, come la masnada arlecchinesca delle fate, degli elfi, dei “rappers”, dei punk, che il gesto ruiziano modella. Scrive Jorge Luis Borges in un racconto che si chiama appunto Un sogno, che in un luogo deserto dell’Iran c’è una torre di pietramolto alta senza porta né finestra, dove c’è una stanza circolare dove c’è un uomo che scrive in caratteri arcani un lungo poema su un uomo che in un’altra cella circolare scrive un poema su un uomo che in un’altra camera circolare....è un sogno infinito e noi somigliamo all’uomo che scrive. Chi potrà mai leggere quel “sogno del prigioniero? ”, si chiede Borges. Ruiz, che si intrattiene con gli interrogativi borgesiani, ha già trovato più volte la risposta sotto i cieli siciliani. Una volta, sulla scorta di eresie e di teologi ha inseguito parabolicamente le infinite Storie di santi e peccatori, in un “viaggio clandestino” per strade siciliane.Un’altra volta ha innalzato la Turris eburnea del Sigismondo di La vita è sogno e l’ha trasformata in una stanza-torre dove passare le “notti di mezza estate”, nell’albergo “dei sogni” diAntonio Presti (alla “Fiumara d’arte” di Castel di Tusa). La risposta “siciliana” di Raùl a Borges consiste nel film “come in uno specchio”. Nell’infinito processo delle visioni, siamo noi gli spettatori, noi gli attori eterni della vita che è sogno, perché siamo fatti, come dice il Mago Prospero, di quella stessa stoffa sognante e sognata. Siamo, come Amleto e Don Chisciotte, personaggi e lettori-spettatori di noi stessi, scriviamo e siamo scritti, vediamo e siamo visti, e ci chiediamo continuamente chi siamo e a che gioco siamo invitati a giocare: che cosa sono quelle strane ombre saltellanti che sulle terrazze suonano il tamburo e il liuto e indossano maschere rosse e teste d’asino. Come l’Averroè del racconto borgesiano, seguendo la voce di Franco Scaldati che ci invita a seguire i saltelli e gli schiamazzi dei ragazzini innamorati l’uno dell’altra, rispondiamo che non si sa con certezza che cosa sia questa “casa dipinta di legno, con file di gabbie e balconi una sull’altra”, e chi sono quelle persone che sembrano pazzi, ma forse, come disse unmercante, rappresentano una storia. Perché forse questo è teatro, forse questo è cinema, forse è tragedia e forse è commedia, ma le parole per dirlo svaporano, sono indecifrabili. Ci sono solo le immagini che prendono vita, le immagini dentro un film. Gli echi, le corse, gli inseguimenti dei fanciulli e dei folletti si inoltrano in foreste di palme, tra i rami del grande Ficus. Vanno oltre e si allontanano, volano sui cieli palermitani.